Sensori: Cosa sono
La prima immagine fornita dal settore dell’automazione industriale nell’immaginario comune è quella di immensi macchinari dediti alla catena di montaggio, e di robot intenti a svolgere funzioni sempre più complesse. Tutto questo però è possibile grazie ad alcuni dispositivi base, come possono essere appunto dei sensori di conduzione o prossimità.
Il termine sensore viene, passando dall’inglese sensor, dal verbo latino sentio, che significa appunto sentire, percepire. Si tratta quindi di congegni semplici ma fondamentali, perché hanno la capacità di ricevere informazioni, decodificarle, e mutarle in un segnale che ci consenta di farne uso. Questi dispositivi sono indispensabili all’interno delle aziende e dell’automazione, ma la loro utilità nella vita di tutti i giorni si presta ai più svariati usi.
Per questo motivo un’azienda come la Rockwell Automation, che si occupa di automazione industriale e informatica a livello mondiale, con più di cento anni di esperienza alle spalle, non poteva trascurare nel suo catalogo la realizzazione di tali elementi. Parlando dei sensori a marchio Rockwell Automation, ci soffermeremo più specificamente su tre tipi in particolare, ovvero prossimità, condizione ed infine i modelli fotoelettrici.
Rockwell Automation e i sensori di prossimità
Partiamo dai sensori di prossimità. Il termine ti è noto? Probabile. Pensi che non faccia parte della tua vita? Sbagliato. Basta guardare lo smartphone che quasi sicuramente hai accanto in questo stesso momento. I telefoni moderni sono implementati con un dispositivo di prossimità che, quando portiamo l’apparecchio all’orecchio, registra nostra la presenza e reagisce spegnando lo schermo e disabilitando il touch screen. Questa semplice operazione permette di risparmiare energia e prolungare dunque la carica della batteria.
Tutto questo avviene grazie a un congegno che grazie alle onde emesse può segnalare la presenza di un oggetto a distanza ravvicinata senza che sia necessario un contatto fisico, e questo avviene misurando i tempi con cui le suddette onde tornano indietro. Ciò che rende tali strumenti particolarmente affidabili è la loro semplicità. Questo genere di indicatori si limita a segnalare la presenza o meno di un oggetto in prossimità senza aggiungere ulteriori dati.
All’interno del catalogo Rockwell troviamo poi tre differenti tipi di rilevatori di prossimità: induttivi, capacitivi, ed infine sensori di prossimità a ultrasuoni. Adesso andiamo a esaminarli più nel dettaglio.
Sensori di prossimità induttivi
Questi dispositivi tecnologici funzionano sulle brevi distanze e rilevano esclusivamente il materiale ferromagnetico. Hanno l’innegabile vantaggio di riuscire a lavorare su parti che si muovono ad alta velocità, grazie alla loro capacità di registrare i cambiamenti di stato anche frequenze alte.
Sensori di prossimità capacitivi
I modelli capacitivi funzionano in maniera abbastanza similare ai loro fratelli induttivi, con la differenza che arrivano a individuare la prossimità di tutte le componenti realizzate in materiale conduttivo, anche il loro range d’azione è più ampio, ma perdono invece in termini di velocità.
Sensori ad ultrasuoni
Questi individuatori di prossimità funzionano più o meno come il sonar dei pipistrelli. Emettono un fascio di impulsi e registrano l’eco di ritorno. I dispositivi che funzionano a ultrasuoni ci offrono la migliore resa a livello di efficienza, ma a costo di un prezzo assai più elevato. Segnaliamo alcuni dei vantaggi dei modelli a ultrasuoni: funzionano con qualsiasi oggetto, anche allo stato liquido, e non è necessario che si tratti di un conduttore. Hanno un range d’azione di qualche metro e in questo campo si tratta di una distanza abbastanza elevata. I sensori di retromarcia nelle automobili di ultima generazione, adoperano appunto dei dispositivi a ultrasuoni.
Rockwell Automation e i sensori di condizione
A volte non è sufficiente un congegno che si limiti a indicare la presenza o assenza di elementi nelle sue prossimità. A volte è necessario raccogliere dei dati variabili, per offrire risposte differenti a seconda delle informazioni raccolte. I sensori di condizione indicano quando è arrivato il momento giusto per intervenire su un dato macchinario.
Rockwell Automation è in grado di fornire apparecchi che misurano: pressione, temperatura, portata.
Sensori di pressione
Il funzionamento di questi dispositivi di condizione è più semplice di quanto non sembri: hanno al proprio interno un soffietto, che aumenta o diminuisce le proprie dimensioni a seconda dello stato di pressione. Al soffietto sono collegate delle lamine che fanno contatto e avvisano il sistema quando la pressione stabilita è stata raggiunta.
Sensori di temperatura
Il termostato di casa è l’esempio ideale, specie se collegato a un meccanismo per spegnere in automatico il riscaldamento. Ma anche un termometro per la febbre rientra a pieno nella categoria.
La temperatura, come ci insegna la fisica, è stabilita dalla velocità delle particelle che compongono un elemento. E per un breve ripasso, le particelle si muovono sempre, nei solidi come nei liquidi e nei gas, fino a quando non viene raggiunta l’impervia temperatura di -273,15 gradi celsius, denominata per questo zero assoluto.
Per far funzionare un sensore di temperatura è necessario adoperare un elemento con un’adeguata sensibilità al calore, in modo tale da registrare in maniera precisa i cambi di temperatura. Tornando ai termometri, il comportamento del mercurio rispecchia pienamente questa caratteristica.
Sensori di portata
Questi dispositivi vengono detti anche flussostati. Servono a tenere sotto controllo le variazioni all’interno di un valore di flusso.
Parliamo nuovamente del riscaldamento domestico. Vicino al termosifone, troveremo un flussostato con il compito di rilevare eventuali anomalie nel flusso di circolazione dell’acqua. Lanciando un allarme, ad esempio, qualora non vi fosse più liquido all’interno dei tubi.
Rockwell Automation e i sensori fotoelettrici
Questo genere di dispositivi è composto da due differenti unità, ovvero sorgente e ricevitore, che talora sono chiuse all’interno del medesimo elemento. Un sinonimo è fotocellula o cellula fotoelettrica. Questi apparecchi permettono di misurare distanze e registrare la presenza o meno di un oggetto.
La sorgente, o emettitore, può funzionare a led o a infrarossi. I modelli a led sono più economici, risultano tuttavia difficili da gestire in ambienti sottoposti alla naturale luce diurna, per via dei continui cambiamenti nelle condizioni dell’illuminazione. Gli infrarossi, per forza di cose, sono meno influenzati da questo elemento, come anche dai colori degli oggetti da tenere sotto controllo.
Il ricevitore può trovare esattamente davanti all’emettitore, oppure appaiato ad esso. In questo caso però è necessario adoperare un catarifrangente, che rimandi indietro il fascio di luce.
I modelli generici, basati su queste caratteristiche, corrono il rischio di non essere abbastanza precisi, per non parlare del fatto che talvolta risultano anche eccessivamente ingombranti.
L’azienda Rockwell non ha mancato di sviluppare dei dispositivi fotoelettrici dotati di caratteristiche specifiche, che possono risolvere molti di questi problemi.
I sensori a fibra ottica, per fare un esempio, risultano costituiti da tubi leggeri che si possono posizionare in spazi più ristretti rispetto a quelli richiesti da un normale dispositivo di rilevamento. Sono anche più precisi, perché emettono un fascio di luce contenuto, facile da gestire con un amplificatore dedicato in remoto.
Dopo questa carrellata ci fermiamo, sperando di avere chiarito i tuoi dubbi, o in alternativa, di averti fornito degli spunti interessanti da approfondire.